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Vent’anni dopo-Ringraziamenti

 

Per i libri

Paolo rumiz, Ivo Andric, Mesa Selimovic, Luca Leone

 

Per idee, suggerimenti, dubbi, spunti

Elisa Elena, Sonia, Paolo Rumiz

 

Per chi sopporta le idee folli

Anna, Diego, Dario, Julia

 

Per avermi insegnato l’ospitalitabalcanica( e avermi fatto innamorare della gente)

Katarina, Sabina e Petar, Ferida e Haris, Boris, Amela, Anel

 

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Vent’anni dopo-Gli incroci possibili

 

 

 

 

 

 

Concedetemi un’ultima parola sulla bosnia, anzi due: incroci e possibile.

 

Ho ascoltato, da persone diverse e in momenti diversi, una nostalgia non per il governo di Tito, quanto per un sistema che inglobava le differenze ripudiando le pulsioni nazional-religiose. Questa malinconia fa il pari con il lavarsi la coscienza delle responsabilitainterne scaricando tutto sull’amministrazione Clinton e sull’Europa ( che pure ne hanno avute tante).

 

Riflettendo su quelle parole mi accorgo che non enostalgia di un sistema comunista mitizzato ma della sua capacitapratica di tenere insieme tutte le turbolenze balcaniche. Ecco che polveriera, riferita ai balcani, e’ solo nella testa di quei politici( serbi, croati e bosnjak) che la usano come strumento di potere e di consorteria.

 

Il voler mantenere, nonostante abbiano subito ferite d’ogni genere, l’idea che la Bosnia e l’essere bosniaci siano uno Stato laicamente ancorato alla certezza che ci sia uno spazio comune per diverse confessioni, e’ il miglior insegnamento.

 

Non perchesia facile ma perche’ e’ possibile!!!

Vent’anni dopo-La Polveriera

Ora mi interessa fissare alcuni spunti che mi girano per la testa e che non mi danno tregua.

Balcani..montagne buone solo per agguati fa dire Paolo Rumiz al personaggio di un suo libro..e mi evenuta voglia di verificare, punto da cui partire in questo discorso complicato in direzione est.

A Fiume mi sono sentito dire che in fondo siamo mediterranei, figli dello stesso mare che avvicina le sue sponde costantemente da secoli..

 

A Jajce ho ascoltato le ragioni di chi cerca, quotidianamente e faticosamente di scrostare le scorie del pregiudizio nella testa di bambini indottrinati giain tenera eta’. Ho condiviso l’ansia di chi mi racconta di tensioni crescenti in seno a queste valli di montagna, divisioni artificiali strumentalizzate ad arte da politicanti d’ogni parte.

Nel cantone di Zenica ho percepito la chiusura in se stessi di certi bosgnacchi, in una sorta di auto-difesa del proprio microcosmo personale come unica arma di resistenza. Ascoltando parole e discorsi che non trasmettono nemmeno piula rabbia di cittadini abbandonati dallo stato, avvitandosi in un fatalismo da soppravvivenza spiccia.

 

Viaggiando verso nord, lidove comincia la pianura pannonica i problemi, mi dicono, riguardano sopratutto un’identita’nazionale. Il sentirsi bosgnacchi eil vero nodo centrale di tutta la questione: imparare a riconoscersi come comunitaeterogenea ma dotata di un sentire comune al di ladelle differenze religiose usate da chi a interesse a dividere e speculare. Questo ascolto a Tuzla seduto in uno dei tanti caffealleuropea del centro cittachiaccherando con Boris l’attore e i suoi amici parlando di bosnia prima e di italia poi. E mi gela il sangue quando con ostentata tranquillitacita Rumiz senza conoscerlo e mi dice:” vedrai, gianni, che ci arriverete anche voi! A disgregarvi e a dissorvevi in una guerra fratricidalo sai che il prefisso telefonico della Jugoslavia e’ il +38?…e il +39 a quale stato appartiene?”

 

la nostra difficoltanel capire la Bosnia nasce proprio dalle resistenze dell’Europa a discutere su sevstessa e a fare i conti con la propria storia.Noi rimuoviamo la Bosnia anche per la paura di doverci guardare in essa come in uno specchio.

 

 

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