Viajar descanta, ma chi parte mona torna mona

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Diario SemiSerio di un viaggio in Thailandia

(Gennaio 2015)

La Thalandia si estende come una grande macchia a nord di Bangkok, la capitale. Una piccola stilla di questa macchia scende verso sud, prendendosi quasi tutti i turisti, quelli cioè che puntano alle spiagge.
Io e Alice decidiamo di visitare entrambe le realtà, partendo e ritornando alla capitale.

  1. BANGKOK
  2. AL NORD: CHIANG MAI e CHIANG RAI
  3. AL SUD: KRABI e KOH SYBOYA
  4. SI TORNA A CASA

BANGKOK

Dall’aeroporto, dopo troppe ore di viaggio per una coincidenza sfortunata, prendiamo il futuristico Skytrain per il centro città, che si rompe dopo una fermata. Cominciamo bene.
Mentre cerchiamo di recuperare un taxi, veniamo agganciati da un austriaco che ha l’aria del maniaco. Mi dispiace giudicare le persone senza conoscerle, ma ha proprio un’aria viscida. Vuole dividere la corsa con noi e venire a vedere il nostro albergo. Immaginando che non ce lo toglieremo mai più di torno, con un gioco di prestigio, lo freghiamo e montiamo su un taxi con un’altra coppia di italiane e Auf wiedersehen al nostro nuovo amichetto. Queste altre due tipe sembrano più sgamate sull’Asia, ci danno un paio di dritte, ma ci lasciano un po’ perplessi quando dicono che la loro più bella esperienza dei viaggi passati è stata tenere al guinzaglio un tigre in un centro. Che prontamente eviteremo dopo questa rivelazione.
Il primo albergo in cui soggiorniamo è il più scadente, i muri hanno bisogno di una pitturata, il lucchetto della porta può essere facilmente sabotato con un cacciavite ed è tutto uno scricchiolio. Ma poco c’importa, tanto ci stiamo solo per dormire ed è pulito. La stanza di 9 mq ha un letto matrimoniale e una scrivania mezza sfondata e nulla più, visto che non ci sarebbe stato lo spazio. Il bagno in comune ha un doccino per il bidet che troveremo ovunque e teniamo buona quest’idea per quando rifaremo il bagno piccolo di casa nostra.

Senza fermarsi per non rischiare di non ripartire più, ci dirigiamo verso Khao San Road (la via segnata dalla Lonely per la vita notturna), ma una musica ci richiama … Sembra una gatta a cui stanno stirando il pelo. Invece è uno spettacolo tradizionale in cui siamo gli unici turisti (che rimangono più di 30 secondi). Immaginate lo stereotipo delle danzatrici thailandesi con lustrini e pailette, inserti oro e fluorescenti, con movimenti sinuosi e lenti alla Karate Kid e dita piegate all’indietro.

Dopo lo spettacolo ce ne andiamo e raggiungiamo Khao San Road, in cui i turisti sono i padroni. Le bancarelle di cibo o magliette o souvenir si affastellano l’una dopo l’altra tra i tatuatori e i bar “che non chiedono la carta d’identità” (questo era il nome di uno di essi), i venditori non ti disturbano e i prezzi sono regolati da un cartello , quindi, tutto sommato, l’unico problema è non pestare i piedi a chi ti sta davanti.

A venti metri scarsi dalla fine della via dei turisti, dove ricomincia una Bangkok normale, con le bancarelle dai cibi tipici, ci sono i venditori che non capiscono un acca di inglese, ma si fanno aiutare dai vicini o digitano il prezzo su una calcolatrice. Ci avviciniamo e sperimentiamo un “delizioso” dessert che è talmente dolce da trasformarmi in un golem di zucchero. Alice capisce che il sacchettino di liquido bianco che ci hanno dato in allegato (latte di cocco salato), va aggiunto a questo dessert. Risultato: un’emerita schifezza.

Il giorno dopo, nonostante il gps, ci perdiamo tra i vicoli della città, mentre cerchiamo l’imbarcadero per il traghetto. Incontriamo tre giapponesine munite di ombrello nella nostra stessa situazione che senza timore fanno domande a destra e a manca, fendendo i thailandesi come una nave rompighiaccio e portandoci a destinazione. Ringraziamo per il servizio e salutiamo.

Visitiamo templi e Wat, Buddha, Buddhini e Buddhoni, distesi o con la mano alzata come a chiedere “il cinque, fratello!”. Per strada tanti gatti randagi.

fonte:https://wanderyonder.files.wordpress.com

La sera passiamo per la stazione dei treni per trovare due biglietti per il nord. Ce la facciamo per miracolo, perché a ogni angolo ci sono dei procacciatori che ci danno informazioni fuorvianti e ci attirano nei loro giri, con pacchetti turistici annessi. Perfino il tipo che gestiva i tuk-tuk (vedi foto) quando gli abbiamo chiesto la tariffa per il mercato dei fiori, ci ha proposto uno sconto a patto che andassimo a fare una visita al suo sponsor, ossia un negozio di sete ultralussuoso.

Ultimo giorno a Bangkok. Puntiamo al mercato degli amuleti, ma per strada ci ferma un guidatore di tuk-tuk e ci propone per soli 20 Bath (€ 0,50), ossia meno di un terzo della tariffa minima per un piccolo tratto, un giro di 4 tra i migliori spot turistici, prima di accompagnarci al mercato degli amuleti «… che comunque apre tra un paio d’ore, non lo sapevate?».

La puzza di fregatura è talmente intensa da farmi tossire, ma accettiamo ugualmente. Giunti al primo spot, il Buddha Gigante, prima di scendere, il tassista ci chiede dove saremmo andati dopo Bangkok. «Chiang Mai!» «Ma va?! Proprio la città da cui provengo!» «Incredibile!» «Se volete ho giusto un pacchetto turistico per voi» «Grazie, gentile, ma al momento abbiamo sia i biglietti del treno che l’albergo prenotato» «Ah …» «Grazie comunque.» «Ok, andate pure. E fate con calma».

Visitiamo il Wat, qualche foto, torniamo al parcheggio e tutti gli altri turisti trovano subito il loro tuk-tuk che li aspetta … ma il nostro non c’è. Proviamo fuori del parcheggio, aspettiamo cinque, dieci minuti. Niente. Scomparso. Alice s’intristisce, perdendo fiducia nel genere umano, io per contrasto mi attivo e risolvo la situazione trovando un nuovo tuk-tuk, il quale, a una tariffa più ragionevole, ci porta al secondo posto.

fonte: www.simplemalaysian.com

Avvistiamo un varano su un canale. Mille foto, sbocconcelliamo i cibi più strani. Sperimentiamo il durian, (vedi foto) un frutto che su un blog che abbiamo visitato prima del viaggio era osannato per la sua bontà. Il venditore ci fa uno sconto del 30% sulla simpatia e a me sorge un piccolo dubbio. Annusiamo: sa di formaggio. Morsichiamo: è peggio del formaggio andato a male. «Dai, poi ci si abitua» ci illudiamo, ma poi buttiamo via tutto.

Per fortuna s’era detto che non avremmo comprato niente per i primi giorni, ma Alice, con le stelline sugli occhi, acquista di tutto. Notevole è la sua arte nel contrattare : «Quanto per questo?» «100 bath» «100?!» «Sì.» «Ok, lo compro». Io la guardo, e mi viene da pensare che a un certo punto mi chiederà «Dammi le tue scarpe, le devo barattare con un cappello!»

Ci gustiamo un bel tramonto sulle panchine di un campus universitario, con le barche fuoribordo che sfrecciano sul fiume di fronte a noi. Prima del treno per Chiang Mai ci concediamo una coccola, immergendo i piedi in una vasca piena di pesciolini che banchettano con le nostre pelli morte. Prima di noi, gli urletti isterici di tre ragazzi francesi ci fanno capire che la cosa non saranno delle carezzine, ma un po’ più doloroso. Stringiamo i denti, stoici, pronti a dissimulare il dolore. Sembra di avere i piedi informicolati. La coppia americana che arriva dopo di noi non si aspetta minimamente questa sensazione vedendoci sorridenti e molla così un urlo spaventato che fa ridere sia noi che i gestori dell’attività.

AL NORD: CHIANG MAI e CHIANG RAI

L’aria condizionata nei vagoni del treno è così intensa che non ci fa dormire. Sgattaiolo nella cuccetta di Alice, per riscaldarci, ma è stretta che sembra una bara e abbandoniamo l’idea. Recuperiamo dalle valigie tutte le maglie pesanti che abbiamo e visto che ci siamo aggiungiamo anche gli asciugamani.

Scesi dal treno smettiamo di tremare e in venti secondi siamo già in maglietta a goderci 30° senza umidità. Ah, il paradiso! Chiediamo a un tipo della stazione quanto costerebbe una corsa in taxi fino al nostro albergo e ci risponde 150 bath. Il tassista che fermiamo ce ne chiede 400. Bene, sarà una lotta dura!

L’albergo è più carino del primo (non era difficile) con la moquette e l’odore di vernice appena data. In omaggio ci sono anche due biciclette a nolo … e visto il prezzo che abbiamo pagato certo non possiamo pretendere che i freni funzionino!

È il 31 dicembre e scopriamo che l’anno nuovo che festeggeremo sarà il 2558, secondo non so quale calendario. Visitiamo templi e monasteri, tutti apparecchiati per la mezzanotte, e accendiamo anche noi la nostra lanterna volante, che si aggiungerà nel cielo alle altre diecimila. L’indomani ci saranno cadaveri di lanterne esaurite sugli alberi, per la strada e nei canali.

fonte: www.taste.com.au

Siamo ormai esperti nel contrattare i prezzi, abbiamo capito di quali piatti non possiamo fare a meno, come il Padthai o delle palline fritte dolci che boh, erano buonissime. Comunque sperimentiamo. Una signora vende dei cubetti di carbone lucido, chiediamo cos’è, ma siamo al nord, i turisti non sono ancora tantissimi e la donna non parla inglese e ci invita a gesti ad assaggiarne uno. Ci da uno stuzzicadenti. È morbido, notiamo, tipo una caramella. Assaggio e, ommioddio!, sa di alghe morte e bruciate. Facciamo una faccia disgustata, vergognandoci come ladri di fronte alla signora, e ce ne andiamo salmodiando dei sorry, sorry, sorry.

Per strada o nei templi maggiori, oltre ai banchetti, alcuni angoli sono allestiti con sgabellini, poltroncine o lenzuoli per fare massaggi al volo. Chiediamo una mezzoretta di massaggio alle spalle e la tipa si accanisce con il gomito su dei nodi che ho sotto la scapola. Sopporto in silenzio. Penso «ma io ho pagato per soffrire così?» e faccio delle facce sofferenti che fanno sorridere i passanti. Anche Alice sente su di sé dei piccoli crick che affronta più stoicamente, ma alla fine ci sentiamo rinati.

Il primo dell’anno gironzoliamo per il centro storico e per la vicina periferia, vedendo una Thailandia più moderna, sbriluccicosa e che tende a occidentalizzarsi. In alcuni punti anche piuttosto bene.

Per cena torniamo nella guesthouse e i padroni ci invitano a una festa per la nipotina adolescente, «… ma non ditele che la festa è per lei!» . Eh?

Vabbè, stiamo vaghi, conosciamo delle persone che ruotano attorno a questo posto, tra cui parenti e un udinese che viene in Thailandia da ben 14 anni e ha già la patente thailandese e tutto. Alla luce del sole ammette di preferire quei massaggi … “privati”. «Non so se mi capite», ci dice facendoci l’occhiolino. A noi viene un brivido di disgusto che neanche il carbone liscio della signora di ieri e facciamo buon viso, cercando una scusa per scappare via. Arriva un altro tipo, svizzero, con la faccia del serial killer psicopatico e con donna molto giovane al seguito. Lei se ne sta zitta tutto il tempo. «Io e lei non parliamo nessuna lingua comune … ma comunichiamo con il “body language”», sorrisetto malizioso.

Non è sempre facile uscire da certe situazioni, senza sembrare scortesi. Continuano a portarci da mangiare, allestendo una piastra con una scodella al centro, nella quale bolliva un brodo e attorno la carne si rosolava. Ascoltiamo con un sorriso a fior di labbra la spiegazione secondo cui, per i thailandesi, arrabbiarsi è motivo di imbarazzo “come se qualcuno si tirasse giù i pantaloni e facesse la cacca nei canali a Venezia”. Perciò i thailandesi, invece di arrabbiarsi, ridono, perdonano, ma superato un certo limite ricorrono all’omicidio. Geni.

Il giorno dopo (ancora inorriditi dalla serata) lasciamo in un angolo i bagagli grossi, noleggiamo uno scooter e partiamo per due giorni a Chiang Rai. Ancora meno turistica di Chiang Mai.

Per strada facciamo una tappa in un centro per vecchi elefanti dove sembra vengano trattati bene, nonostante le catene a cui sono legati e un pungolo sempre pronto alla cintura dei guardiani. Entriamo come visitatori con una piccola offerta e abbiamo la possibilità di dar loro da mangiare delle banane che vengono inghiottite con buccia e tutto. Li immaginavo più grandi. La loro pelle è talmente ruvida e dura che ci puoi accendere un fiammifero . Alice salta dalla gioia e non si cura del muco della proboscide che le smerda la maglia. Il rumore dei loro nasoni prensili è simile a quello di un aspirapolvere e grazie a esso riescono a individuare le banane nascoste dentro il nostro zaino.

Per raggiungere Chiang Rai ci inventiamo un giro infinito per non ripeterlo al ritorno, ma tra una pausa foto e l’altra e il pranzo, il sole comincia a calare. Siamo dalle parti di Fang (corrispondente a Rovigo come popolarità e attrazioni turistiche), dobbiamo sbrigarci, perché ci mancano ancora un centinaio di chilometri. Sosta al volo dove ci mettiamo una maglia in più e io riprendo a guidare, ma dopo cinque curve becco una buca e foriamo. Porca vacca!

Nessuno nei paraggi. Lampioni non se ne vedono. Proviamo a tornare indietro spingendo lo scooter, sperando sia la scelta giusta. Alice è serena, «tanto qualcuno ci prenderà su con il PK!». Io invece bestemmierei. Dal nulla, dopo neanche dieci minuti, arrivano due soldati su una motoretta che pensano che abbiamo finito la benzina. A gesti spieghiamo qual è il vero problema, loro capiscono e, portando Alice sulla motoretta e lasciando giù uno dei due, ci scortano  proprio dove c’eravamo fermati l’ultima volta, dove c’è un meccanico che prontamente si mette al lavoro. Contrattano il prezzo, salutano, sorridono e se ne vanno. Se non è un miracolo questo!

Nella sfortuna di questo imprevisto, la fortuna era stata (oltre ad avere due angeli custodi )  che dopo Fang non ci sarebbe stato più nulla. Centri urbani, benzinai, case, lampioni, guardrail …. Niente! Soltanto dei cartelli catarifrangenti che davano l’idea della curva che si stava per affrontare. Affrontiamo la strada tortuosissima con un solo fanale anabbagliante e la luna che rende tutto più magico.

Nonostante fossimo arrivati all’hotel alle 22.00, intirizziti dal freddo e sfiniti, siamo comunque usciti a vedere il mercato notturno e il giorno dopo, consigliati dal padrone dell’albergo, abbiamo fatto altri 200 e passa chilometri nel Golden Triangle, l’area compresa tra Thailandia, Laos e Birmania dove una volta si commercializzava l’oppio. Paesaggi stupendi e sempre meno turisti.

Taglio nel raccontarvi la giornata e arriviamo a sera, dove, per dovere di viaggiatori, proviamo a mangiare gli insetti, che da queste parti sono un piatto tipico e si mangiano come le olive ascolane. Prendiamo un bel piattone misto e ce lo facciamo scaldare. Filmiamo la cosa per avere una testimonianza, ma la realtà non è spensierata come vedrete. Li guardiamo,facciamo dei grandi respiri per concentrarci e cominciamo con i bachi da seta, che almeno non hanno occhi o zampe. Niente di eccezionale. Poi i grilli (piccini): è più il fritto che li ricopre rispetto all’animale in sé, e come gusto ricordano le sardine. Poi, quelli più difficili. Gli scarafaggi. Belli grossi. Dopo cinque minuti di procrastinare metto in bocca il primo e sento lo scrocchiare dell’esoscheletro e le zampette tra le gengive. Ne mangiamo poi altri due o tre, ma alla fine li lasciamo là, anche perché, ormai freddi, hanno tutto un altro sapore.

Ci concediamo un massaggio thai per Alice e uno ai piedi per me. Il posto è un po’ losco, e all’inizio ho delle remore a entrare perché si chiama MonchaPORN, ma poi, una volta finito, abbiamo un buffo sorriso da ebeti e vorremmo volentieri dormire qua.

Torniamo verso Chiang Mai. Per strada sfruttiamo il fatto di avere un nostro mezzo per fare foto quando ci pare e deviazioni per stradine secondarie. Vediamo gli angoli più prettamente thailandesi, le botti sopraelevate che danno l’acqua alle case, i mini-distributori di benzina che accettano le monetine e dei vestiti che non si capisce se sono in vendita o stesi ad asciugare.

Sulla sinistra della strada un alto geiger (continuo) ci segnala che siamo arrivati alle hotsprings. Copiamo i thailandesi comprando delle uova e le sodiamo nell’acqua bollente di queste terme, la cui temperatura si aggira su 90° C.

Torniamo alla guesthouse di Chiang Mai [720 km in tre giornate, culo quadrato] e la proprietaria ci accoglie con un «Vi aspettavo per domani!». Vabbè, sapevamo già che era mezza matta. Non ci facciamo mancare un giro al mercato notturno (in cui discutiamo animatamente se valga la pena o no portarsi a casa un ombrello tipico thailandese) e concludiamo con un nuovo massaggio alle spalle … che però ci lascia atterriti come dopo un combattimento tanto era energico.

Sul treno che ci avrebbe riportati a Bangkok sfruttando la notte, ci gustiamo una papaya (che all’inizio faceva abbastanza da cagare perché pensavamo fosse un mango, poi abbiamo visto i semini neri) e scambiamo due chiacchiere con una italo – canadese a digiuno di compagnia, e perciò ora molto loquace. Arrivano i controllori, che sono, nell’ordine: l’obliteratore e intrattenitore, il controllore delle prenotazioni, il responsabile del vagone, il buttafuori, il cecchino e altri in divisa differente che completano la fila. Diamo i biglietti e sembra tutto ok, ma ci fanno notare che sì, il numero della cuccetta e l’orario sono esatti, ma la prenotazione è per il giorno successivo. Oh, caspio. Eppure noi avevamo prenotato per oggi, che è il 5 gennaio, «ma vedete? Qua è prenotato per domani, 6 gennaio» ci fanno notare.  «Si sarà sbagliata la bigliettaia!» ribattiamo.  «Vediamo se riusciamo a combinare qualcosa … ».

Purtroppo ci fanno scendere a Lamphun (corrispondente a Ponte di Brenta come popolarità e attrazioni turistiche), dove nessuno parla inglese, non ci sono uffici di cambio e sulla Lonely c’è proprio scritto “Non vi fermerete a Lamphun per dormirci, perché non c’è nulla. Tutti si fermano a Chiang Mai. Ma se non avete altra scelta, vi suggeriamo questo unico hotel.”

Dobbiamo far passare 24 ore, prima che passi il treno che realmente abbiamo prenotato (nel frattempo abbiamo capito che abbiamo sbagliato noi, contando male i giorni. Anche l’hotel a Bangkok è prenotato per la sera successiva e la tipa dell’albergo aveva ragione!). L’albergo che troviamo, la cui reception è un negozio di alimentari, ha il miglior rapporto qualità prezzo del viaggio intero. Ci andiamo a prendere una birra in un pub e il gestore, che conosce l’inglese come noi la fisica quantistica, vuol fare un brindisi con noi perché siamo una grande novità. Tutti ci guardano ammirati e la cosa ci fa sorridere.

Visitiamo anche qui un Wat che ormai è già buio e quando usciamo i guardiani ci invitano a entrare nuovamente. «Grazie, l’abbiamo appena visitato, bellino!» «Entrate, entrate!» «noi – avere – visto – sì!» «Entrate, entrate» «ma checcazz ?» alla fine siamo rientrati e fatto finta di ammirare per la prima volta ‘sti Buddhi e Bhuddini, con ampi cenni del capo e gli occhi sgranati, «Cielo, Alice, son meravigliosi!», «Eh, già!». Uscendo lo abbiamo ringraziato «Veramente bello, sa?», e lui tutto contento «Yes, yes!» «Saluti a casa, stia bene, arrivederla».

Piuttosto che aspettare per tutto il giorno successivo il treno a Lamphun, prendiamo un treno locale sferragliante per Lampang, (corrispondente a Verona come popolarità e attrazioni turistiche) che è sulla strada per la capitale. I bambini ci guardano rapiti e ogni tanto è un po’ inquietante. Facciamo qualche foto alla coda del treno che dà liberamente sui binari e tra un vagone e l’altro da dove, come nei film, si potrebbe salire sul tetto.

Lampang è molto bella, con le sue tipiche carrozze, gli edifici storici, le case che abiteremo da vecchi … e con le banche che ci cambiano gli euro. Possiamo mangiare!, fino a stamattina avevamo i soldi contati e una papaya.

La sera, dopo 10 km a piedi sotto il sole tra un giro e l’altro, riprendiamo il treno per Bangkok, quello che avevamo veramente prenotato, e chiediamo al controllore di farci scendere una fermata prima, ad Ayutthaya, dov’era la capitale della Thailandia prima di Bangkok.

Scendiamo dal treno alle 5.00 di mattina. La Lonely ci invita a vedere i templi abbandonati all’alba che c’è una luce stupenda. Consiglio azzeccato. Con le caccole negli occhi e uno sbadiglio ininterrotto arriviamo per primi (e unici) a un tempio mentre il cielo è infuocato dai primi raggi del sole. A farci compagnia gli scoiattoli e degli uccelli strani. Ci sbizzarriamo in mille foto artistiche.

Arrivano le 8.00, noleggiamo due bici e già al secondo tempio abbandonato il mio commento è “Basta pietre, però!”, invece il terzo, poco fuori città, merita più degli altri due messi insieme perché sembra di essere in un film di Indiana Jones.

fonte: www.globaltravelmate.com

Verso sera abbiamo il problema che dobbiamo riportare le bici indietro e dobbiamo recuperare i pesanti bagagli per portarli dalla stazione dei treni a quella dei minivan . Non so come riesco a convincere un tassista ( i tuk-tuk di questa città sono un po’ più spaziali) a caricare noi, le valige e le bici e a farci un prezzo normale. In realtà alla fine ha provato a scucirci qualche bath in più notando uno strappo sui sedili, ma abbiamo giurato che ci fosse stato già. Anche se non ne eravamo convinti.

Nonostante avessimo già prenotato l’hotel a Bangkok, ci rendiamo conto che possiamo scendere al sud senza perdere un giorno come da programmi. Così, pronti-via!, prendiamo al volo un autobus a lunga percorrenza (in cui ci fanno guardare Hercules in thailandese) e raggiungiamo Krabi.

AL SUD: KRABI e KOH SYBOYA

Siamo abbastanza rimbambiti dal sonno, ma non ci perdiamo d’animo. Noleggiamo uno scooter (qua le formalità burocratiche sono ferree: «Datemi un passaporto, volete il casco?», «Certo! Due, grazie» «Uff, ‘sti turisti! Ecco le chiavi, ci vediamo tre 24 ore») e raggiungiamo una prima spiaggia.

fonte: www.hobotraveler.com

L’acqua è tiepidina e trasparente, in lontananza si vedono dei faraglioni enormi ricoperti di vegetazione. Indiciamo una gara a chi trova la conchiglia più bella (la dura vita degli innamorati) e ci godiamo il sole. La strada costiera alle nostre spalle assomiglia a via Bafile di Jesolo: ci sono solo agenzie per organizzare i viaggi, negozi di souvenir (di importazione cinese) e bar con prezzi e menù turistici. Cerchiamo un ristorante chiamato “The grotto”, che qualcuno, chissà quando, aveva postato su Facebook in una lista dei 10 migliori ristoranti del mondo, ma sembra essere talmente esclusivo per russi ricchi che nessuno lo conosce. A sentimento ci dirigiamo con una long-tail boat verso una spiaggia, dalla quale ci fanno attraversare un tratto di giungla (dove vediamo delle scimmiette fare acrobazie sui fili dell’alta tensione), per poi passare sotto una parete dove dei tipi stavano arrampicando e … scoprire che questo ristorante non esiste! Ancora adesso non sappiamo risolvere questo mistero.

Al solito rifuggiamo i luoghi turistici e ci fermiamo a cenare per strada, facendo giusto quei 500 metri fuori dalla via principale e quando troviamo menù senza traduzione in inglese, capiamo di essere nel posto che stavamo cercando.

Purtroppo, l’unico modo per visitare le isolette là attorno è aderire a un pacchetto turistico. Per cui l’indomani ne troviamo uno basic, economico, che ci porta in luoghi magici, ma ancora troppo affollati di gente (e per fortuna che l’altissima stagione è già finita). Con noi ci sono altri due asiatici, quattro ragazze ventenni svedesi (che nel diario segreto di Alice sono chiamate “quelle quattro balene”) e quattro coppie di indiani. Questi ultimi hanno fatto un casino della Madonna per tutto il viaggio, sparpagliando patatine sul pavimento della barca, arrivando tardi agli appuntamenti e fregandosene altamente di tutti noi altri. Spero gli venga lo scagotto, da domani e per l’eternità. Amen.

La mattina dopo ci stupiamo di vedere le banche chiuse , nonostante sia solo venerdì … infatti è sabato. Urka, dobbiamo stare più attenti che di questo passo va a finire che perdiamo l’aereo! Con un diverso scooter raggiungiamo un parco nazionale, dove vengono solo Thailandesi per farsi il bagno sulle pozze create dalle cascate. Parcheggiamo lo scooter, mancano 200 metri all’ultimo di undici salti d’acqua e un bel cartello ci invita a deviare per un percorso naturalistico nella foresta e raggiungere le cascate direttamente dalla più alta. Questo cartello, parlando in generale, sottolinea pure come sia buona norma scegliere i sentieri in base alle proprie abilità, ma non fornisce la difficoltà del sentiero. «Bah, vorrà dire che è semplicissimo.»

C’erano tratti con un dislivello tale che si poteva toccare il sentiero solamente allungando una mano in avanti. Moscerini ovunque. Caldo afoso. Comincia a piovere e noi non siamo minimamente attrezzati (io indosso scarpe da passeggio), ma per fortuna ci sono molti alberi sopra di noi che ci proteggono. Qualche ragnatela ci finisce in faccia (ci passano in molti da queste parte, eh!?). Stringiamo i denti e aneliamo le meravigliose cascate che ci attendono. Finalmente ci arriviamo, e scopriamo che la più alta è territorio di thailandesi adolescenti che usano il posto per fumare di straforo o per portarci qualche pollastrella convinta chissà con quali promesse (tutti comunque sono in infradito).

Lasciamo i ragazzi alle loro storie e scendiamo al secondo salto e poi a tutti gli altri, dove ci sono famigliole e altri gruppi di giovani. L’acqua è fredda, marrone e piena di foglie secche e rametti. Alice ha paura di chissà quali insetti, io non ne ho mai sentito parlare e quindi sono più tranquillo. Alla fine però un bagnetto ce lo facciamo lo stesso.

In programma c’era di andare al Tiger Temple, cercando di arrivarci per il tramonto. Guardiamo l’orologio e se non ci sbrighiamo non ce la facciamo, anche perché, oltre alla strada, bisogna salire 1260 gradini. Ma sì, e che saranno mai!

Raggiungiamo le pendici del monte e l’inizio della scalinata in perfetto orario. Cominciamo coi primi 50, tutto bene, poi vediamo che cambiano e s’inerpicano verso l’alto con la stessa pendenza del sentiero naturalistico di stamattina. Con il fiatone già dopo 200 gradini, ci aiutiamo con i corrimano, mentre la luce sta già cambiando. Presto, presto! A metà ci viene in mente che oggi non abbiamo neanche pranzato, perché non abbiamo avuto tempo. Comincia a girarmi la testa. Ce la fai? Dai, dai, su su!! Arriviamo a cinque minuti dal tramonto, devastati ma contentissimi, con gli altri gruppi arrivati mezzore prima belli spaparanzati e riposati.

Anche il ritorno è faticoso. Mi viene in mente mia mamma che quando si andava in montagna, durante le discese esclamava «Uh, domani mi faranno male le “popolèt”» e io non avevo mai capito cosa fossero. Ora l’ho capito. Già appena finita la scalinata camminavamo zoppicanti come podisti dopo una marcia. Per un paio di giorni a seguire ogni scalino sarà un “ohi!” o un “ahu!”.

Il “7 islands sunset tour” dell’ultimo giorno a Krabi è stato fe-no-me-na-le. Partiti nel primo pomeriggio, abbiamo toccato le solite spiagge, ma all’ora in cui non c’era quasi più nessuno. Snorkeling, spettacolo notturno di giocolieri col fuoco e un bel tuffo da uno scoglio. La cosa più emozionane, forse di tutto il viaggio, è stato quando ci hanno portati in uno spot per lo snorkeling. È già buio e il tuffarsi nel nero è  già un’esperienza adrenalinica di per sé. Dove siamo c’è del plancton bioluminescente, e, agitando il corpo o semplicemente le mani sott’acqua, appaiono come delle deboli scariche elettriche. Vani i tentativi di immortalare l’esperienza su foto o filmati e dopo cinque minuti ci gridano di rientrare «Nooooo, dai, ancora tre ore! Per favore!!!!!».

Le ultime notti del viaggio ce le teniamo per rilassarci a Koh Syboya, un’isola dimenticata da dio (nel senso, il dio del turismo) dove siamo praticamente solo noi, i gestori e un’altra coppia di tedeschi che si sta letteralmente sfracassando i cabasisi (avevano prenotato per otto giorni e non gli veniva in mente che potevano anche andarsene prima, perdendo quei 12 € a notte che avevano pagato). Veniamo trattati come re, c’è la possibilità di avere le maschere e le pinne per lo snorkeling, la tavola per lo stand up paddling (un surf stando in piedi aiutati con una pagaia ) e un kayak. Con quest’ultimo raggiungiamo l’isola di fronte a noi, il tempo perché Alice si possa far smozzicare da un granchio (mannaro) e torniamo indietro con l’incubo di non farcela in tempo visto il sole che stava tramontando, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.

Disconnettiamo il cervello e la cosa più appagante è stata fare il morto in 20 cm di acqua caldissima cullati da poche stanche onde.

La prima sera cerchiamo del cibo e finiamo in un negozio di alimentari annesso all’abitazione dei gestori. No, non avete capito. Il negozio è … nella casa. Quando siamo arrivati, padre, madre e figlia sono seduti su delle sdraio, il gatto in grembo, a guardare la tv, che si trova sopra gli scaffali delle merendine. Non ci badano perché stanno seguendo una telenovela. Poi arriva la pubblicità, ci danno un frasario inglese – thailandese in cui indichiamo le parole “mangiare”, “cena”, “acqua”. Prontamente ci scaldano un pentolino di acqua calda e la mettono su delle coppette di noodles istantanei. Quello e altri tre dolcetti a caso (buonissimi) per un totale di 2 euro.

Ringraziamo e andiamo a consumare il pasto seduti sul tronco di un bagnasciuga. Immersi nel buio, in lontananza scorgiamo una tempesta con tanto di fulmini, mentre sopra di noi c’è un favoloso cielo stellato. Dalla penombra vediamo avvicinarsi in modo goffo … una mela. Le puntiamo la torcia elettrica e scopriamo essere un paguro gigante! Che figo!

Ultimo giorno, ultimo bagno, ultimo giro in scooter per l’isola (un’ora di nieeeeeeente!). Per raggiungere l’imbarcadero dell’isola ci organizziamo con due scooter: io e Alice, con lo zaino grande sulle sue spalle e lo zainetto medio tra le mie gambe sul primo, il gestore e un suo amico su un altro, con la valigia pesante di Alice distesa tra i due.

Riprendiamo una barca, poi un pulmino e siamo a Krabi in tempo record, tanto che riusciamo con tranquillità a mangiarci una papaya (di 2 kg). Poi inizia un flipper, perché ci vengono a prendere con  un minivan, che ci porta a un altro minivan che ci porta a un altro pullman più grosso che finalmente ci condurrà a Bangkok. Di tutti i mezzi di trasporto che abbiamo preso in questa vacanza (taxi, metropolitana sopraelevata, treno ultramoderno, bicicletta, scooter, tuk-tuk [vari modelli], motoretta con sidecar, auto con a/c, treno sferragliante, bus locale, minivan, bus vip a/c, retro di pk, skytrain, longtail boat, speedyboad, chiatta, long tail house, ferry bandiera blu, ferry bandiera arancione, traghetto coast to coast, piedi), quest’ultimo è il meno piacevole: un primo film si interrompe a metà, il secondo perde l’audio nelle ultime scene; l’aria condizionata aspira direttamente dalla ventola del bagno e tutti sembrano dover cacare. Come ciliegina un gruppo si giovani israeliani sordomuti … si è messo a fare casino (immaginiamo che non se ne siano resi conto)

SI TORNA A CASA

Ultima giornata a Bangkok. Ultimo padthai, ultimo massaggio, ultimo starnuto di shopping e poi ritratto di coppia da un artista di strada.

Viaggio perfetto e consigliatissimo. Interessante e rilassante. Una volta a casa ci abbiamo messo tre giorni per recuperare il fuso e i grilli che abbiamo portato in dono ai parenti sono stati snobbati … che poco riconoscenti!

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